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Protesi dell'anca

La soluzione chirurgica alla coxartrosi

 

La coxartrosi è una malattia degenerativa dell’articolazione dell’anca che causa dolore, rigidità e disfunzione nello svolgere le normali attività quotidiane. L’impianto di una protesi di anca è spesso l’unica soluzione efficace, quando le terapie con farmaci e infiltrazioni e la fisioterapia non hanno effetto.

Quando è indicata una protesi dell’anca?

La decisione di sottoporsi a un impianto di protesi di anca deve essere condivisa tra il paziente, la sua famiglia, il medico curante e il chirurgo ortopedico.

Le indicazioni alla chirurgia sono il dolore, la rigidità e la disfunzione del paziente, in presenza di fallimento delle terapie con farmaci e infiltrazioni, o della fisioterapia.

Spesso quella chirurgica è l’unica soluzione se persistono le difficoltà a camminare, a fare le scale, o il dolore nel sollevarsi in piedi o nell’accavallare le gambe.

Non esistono restrizioni assolute di età o di peso per i candidati alla protesi di anca. La maggior parte dei pazienti che si sottopone alla procedura ha un’età dai 50 agli 80 anni, tuttavia il chirurgo ortopedico effettua una valutazione individualizzata in base alle condizioni generali di ogni paziente.

Quali risultati offre la protesi di anca?

Più del 90% dei pazienti sottoposti ad artroplastica protesica sperimenta una riduzione del dolore e un miglioramento significativo nello svolgimento delle quotidiane attività.

Con l’uso quotidiano e le normali attività, ogni protesi di anca tende a usurarsi e negli anni potrebbe richiedere la sostituzione. Tuttavia attraverso il controllo del peso e l’astensione da attività intensive e ad alta sollecitazione (salti, corsa, sport con impatti), la durata della protesi sarà elevata.

Prima dell'intervento di artroplastica protesica all'anca

L’ortopedico effettua una valutazione valutando lo stato di salute generale, gli esiti di precedenti analisi, l’eventuale assunzione di farmaci e/o eventuali allergie.

Il chirurgo ortopedico dovrà essere informato su infezioni urinarie recenti o ricorrenti, su cure odontoiatriche in corso o in programma: è essenziale per controllare e ridurre il rischio di infezione.

Gli esami del sangue, la visita cardiologica completa di elettrocardiogramma, la radiografia del torace e il consulto con l’anestesista sono tappe fondamentali per la preparazione all’intervento.

Una valutazione più estesa potrebbe essere necessaria prima della chirurgia in caso di patologie preesistenti.

Tutti gli esami preoperatori (preospedalizzazione) vengono programmati dal chirurgo e dall’anestesista in Italia, prima della partenza, e al paziente vengono fornite informazioni e dettagli sull’accettazione e il ricovero e circa l’astensione da cibo e acqua prima dell’intervento.

L’impianto di protesi totale dell’anca è comunemente eseguita attraverso anestesia regionale.

Con l’anestesia regionale viene addormentato l’arto da operare attraverso l’iniezione di anestetico a livello vertebrale (puntura spinale). A questo livello sono presenti i nervi che controllano la mobilità e la sensibilità.

L’anestesia regionale ha il vantaggio aggiunto rispetto all’anestesia generale di controllare il dolore, non solo durante l’intervento, ma anche nel post-operatorio per alcune ore. In alcuni casi viene eseguita in combinazione una sedazione perché per alcuni pazienti risulta difficile mantenere la stessa  posizione per l’intera durata dell’operazione: la procedura dura circa un’ora e mezza.

L'intervento di artroplastica protesica all'anca

Nel corso dell’intervento di impianto di protesi (o artroplastica protesica) di anca le parti danneggiate dell’articolazione sono sostituite.

Le tappe fondamentali dell’intervento sono 3:

  1. Asportazione della testa femorale che viene sostituita da uno stelo metallico ancorato nel femore o fissato con speciale cemento e dotato di una testina sferica in materiale metallico o ceramica.
  2. Rimozione della superficie di cartilagine dell’acetabolo (la parte concava dell’articolazione) che è sostituita da una coppa emisferica metallica infissa nell’acetabolo o adesa all’osso con cemento.
  3. Applicazione dell’inserto: il chirurgo ortopedico inserisce nella protesi acetabolare uno spaziatore in materiale plastico o in ceramica per creare una superficie di scorrimento smussata e libera da attrito con la testina.

Alla fine della procedura il chirurgo suturerà l’incisione e apporrà una medicazione imbottita.

Dopo l'intervento di artroplastica protesica all'anca

Dopo essere stato monitorato dall’anestesista per qualche minuto, il paziente viene ricoverato in reparto dove sarà seguito dagli infermieri che, se necessario, somministreranno farmaci per il dolore.

La degenza dura solitamente circa 5 giorni: è il tempo necessario per avviare la rieducazione motoria, per la corretta gestione del dolore e della terapia antibiotica.

Sebbene si possa camminare anche agevolmente con le stampelle dopo la chirurgia, per diverse settimane il paziente non sarà in grado di cucinare, fare la spesa e fare la doccia e dovrà seguire un percorso riabilitativo di fisioterapia.

Nelle prime settimane potrà essere presente dolore, da gestire con l’aiuto di farmaci antidolorifici. Inoltre la coscia tenderà ad essere tesa, sarà utile applicare del ghiaccio più volte durante la giornata.

Sarà prescritta una terapia di prevenzione della trombosi venosa, con modalità specificate dall’ortopedico alla dimissione. Per lo stesso obiettivo potrà essere richiesto, alla rimozione del bendaggio, di indossare calze elastiche a compressione graduata.

L’ortopedico fornirà indicazioni sui tempi per le medicazioni e la rimozione punti, sull’impiego delle stampelle e la quota di carico sull’arto operato.

Diversi sono gli accorgimenti da adottare al rientro a casa, alcuni ausili risultano utili nelle quotidiane attività:

  • una comoda poltrona con due reggibraccio, uno schienale confortevole e un cuscino per la seduta;
  • un rialzo per il wc (da acquistare presso un rivenditore di articoli sanitari);
  • una sedia in plastica stabile per seduta nella doccia o nella vasca da bagno;
  • un corrimano per la vasca da bagno e per le scale.

Sarà opportuno rimuovere piccoli ostacoli (tappeti, sgabelli bassi) per ampliare gli spazi di movimento.

Devi operarti? Vorresti avere una seconda opinione da un chirurgo ortopedico? Vorresti evitare lunghe liste d’attesa con la mobilità sanitaria europea?

Domande e risposte

L’anca è una delle più grandi articolazioni mobili che unisce il tronco alla coscia, supportando il peso del corpo. È formata dall’acetabolo, una formazione concava a coppa collocata sull’osso iliaco, nel bacino, dove l’aggancio del femore ha come giuntura una “palla” sferica che si posiziona e si muove all’interno di tale sede con stabilità e flessibilità grazie alla tenuta del legamenti e alla presenza di liquido sinoviale che esercita la funzione di lubrificante e di cartilagine che funge invece da ammortizzatore.

Questa articolazione nota come coxo-femorale consente il movimento articolare rendendoci capaci di camminare, correre, saltare e di ben altri 1,5 milioni di movimenti di variazione di carico.

Le maggiori problematiche che richiedono un intervento chirurgico a causa del dolore e della ridotta mobilità dell’anca derivano dal consumo della cartilagine detta appunto coxartrosi. Nel primo stadio la cartilagine si consuma perdendo spessore sulla cavità acetabolare o sulla testa del femore. Questo assottigliamento tenderà a deteriorarsi creando sempre più attrito tra le ossa interessate e provocando dolore. Il corpo umano reagisce alla mancanza di cartilagine tentando di ripristinarla con tessuto osseo, i cosiddetti osteofiti. Queste ossificazioni periarticolari finiscono però per ostacolare ulteriormente il movimento articolare.

La coxartrosi può manifestarsi senza una causa apparente e viene denominata artrosi primitiva. È classificata come artrosi secondaria quando invece è causata da malattie o traumi precedenti:

  • frattura ossea dell’anca o lussazione dell’anca
  • osteoartrosi
  • artrite settica o artrite reumatica
  • displasia congenita
  • Morbo di Perthes
  • Malattia ossea di Paget
  • osteonecrosi
  • epifisiolisi della testa femorale
  • tumori ossei

Esistono diversi fattori di rischio. Alcuni di carattere biologico, altri dovuti a eventi storici o abitudini e stili di vita scorretti.

La coxartrosi colpisce maggiormente le persone di età media da 66 a 72 anni, di sesso femminile (circa il 75% dei casi; negli over 65 anni il 94% sono donne). Fattori di rischio sono: obesità, infortuni articolari all’anca, forme di artrite e osteoartrosi, diabete, assunzione massiccia di farmaci come il cortisone, epatopatia alcolica…

Il percorso diagnostico comincia dal medico di famiglia, che richiede una visita dal chirurgo ortopedico. Quest’ultimo approfondisce la condizione clinica del paziente per individuare le cause specifiche del dolore e della limitazione del movimento. Attraverso un esame radiografico e ulteriori indagini, se necessarie, si possono verificare le conseguenze sulle articolazioni. La radiografia del bacino (RX bacino) e delle anche (RX anche) sono esami rapidi e indolori e possono evidenziare sufficientemente il quadro clinico del paziente.

La coxartrosi è una malattia cronico degenerativa causata dal deterioramento progressivo della cartilagine che porta a un dolore sempre più intenso e progressiva incapacità di espletare le normali funzioni motorie. Quando la terapia anti infiammatoria e le cure non hanno più l’effetto, rimane disponibile la soluzione dell’intervento chirurgico che riporta il paziente a una normale condizione di vita, eliminando il dolore.

L’innalzamento dell’età media va di pari passo con il conseguente l’aumento delle patologie articolari degenerative che possono trovare soluzione solo attraverso un intervento chirurgico. Grazie alle nuove tecnologie delle operazioni mini invasive è in crescita anche la richiesta di interventi per persone più giovani per le quali non veniva indicata in passato e che riguardano fratture o deficit da malattie neonatali che attendono la maturità ossea per essere operati (16 anni per le donne e 18 per gli uomini).

Camminare: Se in passato dopo un intervento di protesi all’anca si era costretti all’immobilità per molti giorni, oggi con le nuove tecniche già il giorno stesso il paziente può essere verticalizzato e capace di muoversi con il supporto delle stampelle.

Guidare: Indicativamente si potrà a guidare l’auto dopo circa 6 settimane dall’intervento.

La storia degli interventi all’anca e degli studi dei materiali affonda le sue radici nel 1821. Dobbiamo aspettare gli anni ‘60 per poter parlare di interventi di successo, infatti i materiali utilizzati precedentemente non erano in grado di resistere alle sollecitazioni meccaniche causate dal movimento. Il lungo periodo di studio ha permesso uno sviluppo avanzato sui metodi e le tecnologie. Oggi l’intervento all’anca, rispetto a qualche anno fa,  promette ottimi risultati sia in termini di scomparsa del dolore che di un ritorno veloce a una vita normale.

Prima dell’intervento di protesi all’anca è consigliabile rivolgersi al medico per una eventuale perdita di peso in eccesso. Questo ha lo scopo di evitare un sovraccarico post operatorio e di facilitare la riabilitazione. Inoltre evitare l’assunzione di farmaci antinfiammatori o non prescritti dal proprio medico, almeno 2-3 settimane antecedenti l’intervento.

Dopo l’intervento è normale avvertire dolore, che sarà gestito attraverso l’utilizzo di farmaci. La gestione del dolore è molto importante e con le nuove tecnologie di operazione mini invasiva e il supporto infermieristico mirato sono stati fatti molti passi avanti. Il paziente sarà già in grado di mobilizzarsi poche ore dopo l’intervento.

Solitamente la riabilitazione, salvo complicanze, ha una durata di circa 8-10 settimane, con una cadenza di 2-3 sedute settimanali, al termine delle quali il paziente è in grado di svolgere facilmente e senza dolore le attività quotidiane. Il percorso può avere durata variabile a seconda delle capacità soggettive di recupero del paziente o di particolari richieste funzionali.

I tempi di recupero normale delle attività si ottengono entro 2 o 3 mesi, ad esclusione di attività troppo impattanti o usuranti. Si potranno praticare nuovamente attività sportive leggere.

Una protesi d’anca dura in media dai 15 ai 20 anni.

Il tipo di anestesia verrà studiato dal team medico sulle caratteristiche uniche del paziente e della risposta alle analisi specifiche. Grazie all’avanzamento medico nel campo dell’anestesia e della chirurgia, oggi è possibile intervenire in anestesia locale, “addormentando” solo la parte interessata e rimanendo coscienti durante l’intervento, evitando così tutte le complicanze della anestesia totale.