sanità transfrontaliera in Europa oggi

A dieci anni dalla Direttiva europea volta a promuovere l’integrazione sanitaria tra gli Stati membri, l’accesso a questo diritto è ancora marginale per i cittadini. Soprattutto quelli italiani. Qual è la situazione della sanità transfrontaliera in Europa oggi?

Parliamo della Direttiva UE 2011/24 sulla sanità transfrontaliera. A dieci anni dalla sua emanazione, la Commissione europea ha lanciato un sondaggio indirizzato a tutti i cittadini dell’Unione e ad organizzazioni ed enti direttamente responsabili o interessati dalla sua attuazione.

Ne parliamo con il Dott. Giovanni Boggero, Ricercatore in Istituzioni di diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, membro del Comitato scientifico di SEF e autore dell’articolo “Gli ostacoli alla mobilità transfrontaliera in Italia”, apparso in: Corti Supreme & Salute, n. 2/2018

Dottor Boggero, a suo avviso la sanità transfrontaliera e l’attuazione della Direttiva sono una priorità per l’Unione europea?

Ho l’impressione che gli interessi della Commissione europea non collimino del tutto con quelli del Consiglio, ossia degli Stati membri. In altre parole, anche sulla base di quella che è stata la genesi della direttiva 2011/24/UE, mi sembra si possa dire che la Commissione abbia ambizioni di integrazione che gli Stati membri faticano ancora a condividere. Una maggiore liberalizzazione delle cure sanitarie transfrontaliere non è nell’interesse di molti Stati che temono di dover pagare un “prezzo” troppo alto o in termini di afflusso di pazienti dall’estero o in termini di rimborso per i propri pazienti in uscita. In realtà gli oneri finanziari che gli Stati sostengono sono ancora molto limitati, ma l’obiettivo degli Stati membri resta proprio quello di evitare che lievitino troppo rapidamente.

In quali contesti la Direttiva risulta efficacemente attuata?

In generale, mi sembra che i dati evidenzino una forte mobilità in aree economicamente e socialmente integrate, specie di confine (tra Francia e Spagna o tra Francia e Germania). L’Italia risente invece del forte divario interno tra Nord e Sud e risulta poco attrattiva per potenziali pazienti che si trovano all’estero.

A 10 anni dall’entrata in vigore della Direttiva, qual è lo stato di attuazione e quali gli ostacoli ancora da superare?

Per fare un bilancio della direttiva a dieci anni dalla sua entrata in vigore, penso sia possibile partire dalla risoluzione votata nel 2019 dal Parlamento europeo. Tra le questioni rispetto alle quali il Parlamento ha chiesto alla Commissione di intervenire, c’è innanzitutto quella del raccordo tra il regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e la direttiva stessa. Come ho anche messo in luce nel mio articolo, il regolamento prevede una
disciplina più favorevole e meno restrittiva di quella della direttiva. Più in generale, la direttiva ha sofferto di
un’attuazione tardiva negli Stati membri, di una scarsa conoscenza da parte degli operatori sanitari e dei pazienti, dell’imposizione di oneri amministrativi piuttosto gravosi e di uno scarso accesso all’informazione offerto dai Punti di Contatto Nazionale (PCN). In sostanza, la tendenza di alcuni Stati membri sembra essere quella di ostacolare l’effettivo ricorso alla sanità transfrontaliera:

  • stabilendo requisiti di autorizzazione preventiva più stringenti di quelli previsti in via generale dalla Direttiva (e dal regolamento);
  • applicando limiti al rimborso (che inoltre non è garantito in tempi certi e comunque non è uniforme tra gli Stati membri).

Altro fronte che penalizza il ricorso a questo strumento è la discriminazione di cui soffre il settore privato: alcuni Stati membri sono soliti offrire rimborsi più bassi se il prestatore di cure all’estero è un soggetto privato e non pubblico.

Infine, continua a non esservi sufficiente uniformità nell’applicazione della direttiva alla telemedicina, che pure, specie in un contesto dominato dalla pandemia, appare cruciale.

Come interpreta lo scarso numero di richieste di informazioni sulla sanità transfrontaliera in Italia rispetto agli altri Stati membri UE (al 2018, erano 669 a fronte delle 3526 della Germania e delle 2286 del Regno Unito)? I cittadini italiani sono correttamente informati sui loro diritti? Il Punto di Contatto Nazionale italiano non ha né un numero telefonico, né uno sportello al pubblico...

La situazione in Italia è piuttosto deludente, specie se paragonata a quella di altri grandi Stati membri UE, dove il fenomeno dell’assistenza sanitaria transfrontaliera presenta numeri più significativi, almeno nelle aree di confine. In Italia, i numeri paiono mostrare che i pazienti si affidano ove possibile ancora alle norme più favorevoli del precedente regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. In caso di malattie rare o in situazioni di particolare gravità e urgenza, questo permette infatti di accedere direttamente alle cure all’estero grazie al collegamento diretto tra strutture pubbliche di diversi Paesi. Rimane, invece, inutilizzato lo strumento della mobilità sanitaria transfrontaliera per prestazioni sanitarie programmate o di routine.

Purtroppo, il decreto legislativo che recepisce la direttiva nel nostro ordinamento autorizza le ASL a negare l’autorizzazione sulla base di valutazioni delle terapie fruibili presso centri esteri condotte sulla base degli standard di assistenza italiana, anziché sulla base di criteri di efficacia delle procedure, così come definiti dalla letteratura scientifica internazionale.

Da ultimo, l’accesso alle informazioni attraverso il PCN e i Punti di Contatto Regionale è ancora estremamente parcellizzato e inefficace. I Punti di Contatto, specie a livello regionale, operano senza adeguata trasparenza e non sembrano offrire quei servizi di backup tecnico-giuridico per i quali erano stati concepiti dal Patto per la Salute 2014-2016.

Tutto questo fa sì che la sanità transfrontaliera in Europa oggi non sia ancora una realtà.membri 

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