Il progetto RESCUE mira a nuove terapie RNA per la rigenerazione del cuore

Con un finanziamento di 1,5 milioni di euro, l’Unione Europea sostiene il progetto RESCUE, mirato a sviluppare un nuovo farmaco a RNA capace di rigenerare il cuore e promuovere simultaneamente la vascolarizzazione del tessuto. L’Università degli Studi di Trieste, in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino, coordina il gruppo di ricerca internazionale.

Obiettivo del progetto RESCUE

Sviluppare una nuova terapia capace di rigenerare completamente il cuore dopo un infarto del miocardio, formando nuovo tessuto e nuovi vasi sanguigni per riportare il muscolo cardiaco alla sua piena funzionalità: è questo l’obiettivo del progetto di ricerca internazionale RESCUE – Bridging the gap between cardiac regeneration and revascularization, coordinato dall’Università degli Studi di Trieste.

Questo progetto coinvolge esperti di rigenerazione cardiaca e angiogenesi provenienti da Italia, Spagna, Olanda, Slovacchia e Turchia.

La sinergia tra rigenerazione cardiaca e rivascolarizzazione

“Per molti anni i progressi nei campi della rigenerazione cardiaca e dell’angiogenesi hanno proceduto parallelamente, senza parlarsi.

Tuttavia, per riparare un cuore danneggiato da un infarto è necessaria la formazione sia di nuovo muscolo cardiaco sia di nuovi vasi sanguigni.

Con il progetto RESCUE puntiamo a colmare questa lacuna tra rigenerazione cardiaca e rivascolarizzazione: vogliamo, infatti, sviluppare un nuovo farmaco biologico, che contenga due principi attivi – e in particolare due molecole di RNA – in grado di rigenerare il cuore e simultaneamente promuovere la vascolarizzazione del tessuto rigenerato”, spiega la coordinatrice del progetto Serena Zacchigna, professoressa di biologia molecolare presso il dipartimento di scienze mediche, chirurgiche e della salute dell’Università degli Studi di Trieste e direttrice del laboratorio di biologia cardiovascolare dell’ICGEB (Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie).

Identificazione delle molecole candidate

I ricercatori hanno già identificato alcune molecole candidate, che si sono rivelate in grado di promuovere da un lato la proliferazione delle cellule del muscolo cardiaco e dall’altro la formazione di nuovi vasi sanguigni, sia piccoli capillari che arterie più grosse.

Nei prossimi tre anni i ricercatori sperimenteranno diverse combinazioni fino a identificare quella più efficace.

Sarà la prima volta che due molecole biologiche, capaci di stimolare questi due processi fondamentali per la riparazione di un cuore infartuato, vengono unite in un unico farmaco, per dimostrare la sinergia d’azione.

Collaborazione e coordinamento

L’Università di Trieste – l’unico ateneo italiano alla guida di uno dei diciassette progetti selezionati dal bando CARDINNOV – coordinerà lo studio in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino IRCCS, in particolare con il gruppo di ricerca del prof. Giulio Pompilio, direttore scientifico e delegato italiano alternate presso il Comitato per le Terapie Avanzate (CAT) dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMA).

L'importanza dei farmaci a RNA

“L’infarto del miocardio continua ad essere una delle principali cause di morte – spiega il prof. Giulio Pompilio, direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino IRCCS – La ricerca ha recentemente prodotto nuovi farmaci a RNA che agiscono sui fattori di rischio dell’infarto, ma non si hanno ancora terapie che stimolano la riparazione del cuore.

Nei prossimi anni ci aspettiamo che un numero sempre maggiore di farmaci a RNA arrivi alla clinica per il trattamento delle malattie cardiache”, conclude il professore.

Collaborazioni internazionali e educazione

Al progetto collaborano il Centro Nazionale per la Ricerca Cardiovascolare (CNIC) di Madrid, l’Università di Utrecht, l’Università Lokman Hekim di Ankara, l’Accademia Slovacca delle Scienze e l’associazione di pazienti PLN Foundation, quest’ultima incaricata di educare e sensibilizzare pazienti e caregiver sulle nuove terapie a RNA.

Finanziamento e supporto

Con un finanziamento di 1,5 milioni di euro – dei quali oltre 600mila sono destinati all’Italia, attraverso il Ministero dell’Università e della Ricerca e il Ministero della Salute – il progetto è promosso dalla partnership Ue ERA4Health, che sostiene la collaborazione tra diversi enti di ricerca europei e internazionali in aree prioritarie nel settore della salute, favorendo lo sviluppo di innovazioni terapeutiche.

Fonte:

Insufficienza ovarica precoce, nuove speranze di gravidanza

Le donne che soffrono di insufficienza ovarica precoce possono aumentare le loro possibilità di ottenere una gravidanza grazie alle tecniche di ringiovanimento ovarico. Queste tecniche permettono di incrementare le probabilità di ottenere una gravidanza con i propri ovuli.

Lo studio presentato da IVI

Uno studio presentato al 40º congresso della Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (ESHRE) dal gruppo IVI, specializzato in medicina della riproduzione, ha dimostrato l’efficacia di queste tecniche.

Evoluzione della tecnica Ascot

Lo studio si basa su un’evoluzione della tecnica Ascot, una delle più diffuse per il ringiovanimento ovarico, che utilizza l’infusione di cellule staminali nell’arteria ovarica.

Le proteine disciolte nel citoplasma degli ovociti sono fondamentali per la piena efficacia della funzione riproduttiva.

I risultati della tecnica Ascot

Nelle donne con insufficienza ovarica precoce sono state trovate fino a 72 proteine alterate, causando una notevole riduzione della capacità riproduttiva spontanea.

La tecnica Ascot in 4 fasi, presentata da IVI a ESHRE, ha apportato cambiamenti sostanziali nel proteoma plasmatico dei pazienti, portandolo a una composizione molto simile a quella osservata nelle donne normoresponder.

Questo studio evidenzia come possano migliorare ulteriormente i già significativi risultati di questo trattamento rigenerativo.

Secondo studi di IVI Global, infatti, il 7% delle pazienti sottoposte alla procedura di ringiovanimento ovarico ha raggiunto la gravidanza per via naturale dopo aver recuperato la funzione ovarica.

Le alternative terapeutiche

“La decisione di cercare una gravidanza con ovuli di donatrici non è mai un passo facile per le coppie.

Per questo si stanno diffondendo sempre di più delle alternative terapeutiche che mirano a ripristinare la funzione ovarica,” spiega Antonio Pellicer, ordinario di Ostetricia e Ginecologia all’Università di Valencia e fondatore di IVI.

“Una delle più diffuse è la tecnica Ascot, che consiste nel trapianto di cellule staminali dal midollo osseo nell’arteria ovarica.

Gli studi sul ringiovanimento ovarico rappresentano una linea di ricerca molto incoraggiante in cui continueremo a lavorare.

Procedura e principi della tecnica Ascot

La tecnica Ascot si basa essenzialmente su un’iniezione di plasma arricchito con fattori di crescita, che consente di ripristinare la funzione ovarica.

La procedura è simile a quella del prelievo dell’ovocita e viene effettuata in regime ambulatoriale, permettendo alla paziente di tornare a casa dopo un breve periodo di osservazione.

Obiettivi della medicina rigenerativa

Questa tecnica si fonda sui principi della medicina rigenerativa, il cui obiettivo è ripristinare l’ambiente biologico, imitando e accelerando i processi di rigenerazione dell’organismo stesso.

Fonte:

Mastercard e MTA collaborano sui pagamenti sanitari transfrontalieri

La Medical Tourism Association lancerà una piattaforma unica con funzionalità di pagamento Mastercard per offrire maggiore comodità, flessibilità e fiducia al settore del turismo medico.

Risposta alla necessità di semplificazione

In risposta alla crescente necessità di semplificare l’accesso all’assistenza sanitaria globale per i turisti medici, Mastercard e la Medical Tourism Association (MTA) hanno annunciato una partnership esclusiva per modernizzare l’esperienza di assistenza sanitaria end-to-end per pazienti e operatori sanitari in tutto il mondo.

La Medical Tourism Association utilizzerà la tecnologia delle carte virtuali commerciali di Mastercard per andare oltre l’organizzazione dei trattamenti e facilitare pagamenti rapidi e sicuri con gli operatori sanitari.

Innovazione nel settore del turismo medico

Questa è una mossa unica nel suo genere per il settore del turismo medico, che è rimasto in gran parte dipendente da denaro contante e bonifici bancari, portando a una mancanza di trasparenza finanziaria e a opzioni di pagamento limitate per le persone che cercano trattamenti all’estero.

Le intuizioni di un recente sondaggio sui pazienti del turismo medico rivelano che oltre la metà dei pazienti a livello globale ha espresso preoccupazioni sui pagamenti internazionali a causa di costi nascosti, complessità del tasso di cambio e maggiore rischio di frode, dimostrando una chiara necessità di migliorare il processo di pagamento.

Le parole di Mastercard

“Come azienda tecnologica globale, innoviamo costantemente per risolvere i punti critici in più settori e semplificare il modo in cui il denaro fluisce tra persone e aziende”, ha affermato Chad Wallace, responsabile globale delle soluzioni commerciali di Mastercard.

“Stiamo integrando le nostre tecnologie per promuovere esperienze di pagamento più sicure e veloci su larga scala e questa ultima collaborazione sblocca la nostra capacità di estendere ulteriormente i vantaggi delle carte virtuali Mastercard per reinventare l’ecosistema sanitario”.

Facilitazione del processo di pagamento

I pazienti potranno semplicemente prenotare e pagare il loro trattamento utilizzando un metodo di pagamento a loro scelta, e l’MTA gestirà senza problemi il resto sfruttando la tecnologia delle carte virtuali di Mastercard.

Non appena il pagamento viene avviato e convalidato, il partner bancario dell’MTA emetterà una carta virtuale Mastercard per pagare direttamente il fornitore di assistenza sanitaria.

Vantaggi per i fornitori di servizi sanitari

L’introduzione delle carte virtuali porta anche una serie di vantaggi ai fornitori, tra cui una maggiore sicurezza, controlli robusti e dati di rimessa in tempo reale per una riconciliazione più efficiente.

Sviluppo della piattaforma "Better by MTA"

Per andare oltre la risoluzione dei punti dolenti nei pagamenti sanitari, la MTA sta sviluppando “Better by MTA”, una nuova piattaforma user-friendly integrata con le capacità di pagamento di Mastercard che mira a riunire servizi medici e di viaggio.

Dal pagamento e dalla pianificazione di una procedura alla prenotazione di viaggi, trasporti e alloggi corrispondenti, i pazienti saranno in grado di gestire con sicurezza ogni aspetto del loro viaggio all’interno della stessa piattaforma.

Better by MTA ha lo scopo di semplificare le scelte di viaggio, snellire il processo di pagamento e consentire di confrontare senza sforzo le opzioni di assistenza, sostituendo più strumenti di prenotazione con un’esperienza connessa e one-stop per le esigenze di viaggio medico.

La missione della Medical Tourism Association

“Per quasi due decenni, abbiamo svolto un ruolo fondamentale nel fornire un’assistenza sanitaria accessibile, trasparente e di alta qualità, mettendo in contatto i pazienti con un’ampia rete di fornitori fidati e accreditati in tutto il mondo“, ha affermato Jonathan Edelheit, presidente e co-fondatore della Medical Tourism Association.

“Sviluppare un’unica interfaccia con funzionalità e servizi di pagamento Mastercard integrati è un passaggio fondamentale nella nostra missione per rendere l’assistenza sanitaria di qualità sicura e accessibile oltre confine”.

Lancio globale delle nuove funzionalità

Mastercard e MTA stanno inizialmente lanciando queste nuove funzionalità di pagamento con diversi fornitori di servizi sanitari in tutto il mondo e prevedono di estenderle ad altri fornitori a livello globale entro la fine del 2024.

Un over 60 su quattro ignora di avere un’anomalia alle valvole cardiache

I problemi alle valvole cardiache aumentano di frequenza e gravità con l’avanzare dell’età. Tra i 60 e i 65 anni, solo l’1,5% delle persone ha un problema che richiede attenzione medica. Tuttavia, questa percentuale sale al 2,1% dopo i 70 anni e supera il 10% dopo gli 85 anni.

Problemi alle valvole cardiache negli over 60

Il 28,2 per cento delle persone con più di 60 anni ha un problema alle valvole cardiache non diagnosticato.

Il più delle volte si tratta di un’anomalia di lieve entità, che tuttavia in molti casi è destinata ad aggravarsi con l’età.

Lo studio dell’University of East Anglia

È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’University of East Anglia di Norwich, nel Regno Unito, pubblicato sull’European Heart JournalCardiovascular Imaging. “Abbiamo esaminato tramite elettrocardiogramma quasi 4.500 persone asintomatiche con più di 60 anni”, spiega uno degli autori dello studio, il cardiologo Vassilios Vassiliou (ospedale Universitario di Norfolk e Norwich). Risultato: problemi alle valvole cardiache per oltre un quarto di loro.

Patologie valvolari e rischi correlati

I più diffusi erano “una incompleta apertura (stenosi valvolare) che si traduce in una restrizione del flusso sanguigno e la chiusura insufficiente: un rigurgito che può portare il sangue a rifluire nella direzione sbagliata”, illustra Michael Frenneaux, specialista dell’Imperial College e tra i firmatari della ricerca.

Questi problemi possono mettere a dura prova il cuore e farlo lavorare di più. Nel corso del tempo possono aumentare il rischio di infarto, ictus e altre patologie cardiache”.

Problemi valvolari sempre più frequenti con l’età

Lo studio ha inoltre mostrato che i problemi alle valvole cardiache diventano sempre più frequenti e seri al crescere dell’età.

Se tra i 60 e i 65 anni soltanto l’1,5 per cento ha un problema che richiede l’attenzione medica, la quota sale al 2,1 per cento appena si superano i 70 anni ed è superiore al dieci per cento dopo gli 85 anni.

Sintomi mascherati dalla ridotta attività fisica

All’avanzare dell’età, inoltre, i sintomi, (fiato corto, stanchezza, dolore al torace, debolezza o vertigini, caviglie e piedi gonfi, palpitazioni) “possono essere mascherati da una ridotta attività fisica e da una mobilità ridotta”, spiegano i ricercatori.

L’importanza di un monitoraggio attento

È quindi necessaria particolare attenzione. “Se le persone sviluppano nuovi sintomi o segni che potrebbero indicare una malattia cardiaca, ne discutano con il proprio medico”. 

Combattere il tumore al seno con il freddo anziché con il bisturi

Evitare la chirurgia invasiva è sicuramente il desiderio delle donne che si ammalano di tumore al seno e sanno di doversi sottoporre a un intervento. A rendere concreta questa possibilità è un nuovo studio clinico condotto dallo Ieo, che sta reclutando 234 pazienti di più di 50 anni con tumore mammario di piccole dimensioni (fino a 15 mm di diametro) a basso rischio.

La scommessa della crioablazione

L’obiettivo è raggiungere un’alta percentuale di pazienti con tumore al seno che riescano a evitare la chirurgia ottenendo lo stesso risultato oncologico grazie al trattamento percutaneo della crioablazione: in pratica il tumore viene aggredito col freddo invece che col bisturi.

Questa è l’ipotesi dello studio clinico Precice, promosso dall’Istituto Europeo di Oncologia e sostenuto dalla Fondazione Veronesi, che sta mobilitando per realizzare lo studio 234 donne ultra 50enni con piccoli tumori mammari a basso rischio.

Percorso terapeutico standard

Le pazienti candidabili alla crioablazione saranno inserite nel percorso terapeutico standard – con radioterapia e chemioterapia adiuvante se necessaria – ma la rimozione del tumore avverrà senza tagli chirurgici, permettendo alle pazienti di tornare a casa il giorno stesso del trattamento senza cicatrici né protesi.

Come funziona la crioablazione

La crioablazione è una tecnica consolidata che usa temperature molto basse per distruggere i tessuti e può essere eseguita con un approccio percutaneo con semplice anestesia locale.

In sintesi, la procedura per il tumore del seno prevede di raggiungere il tumore con una sonda delle dimensioni di un ago (criosonda) sotto guida ecografica; quando il bersaglio viene raggiunto, la sonda rilascia la sua carica refrigerante, che può arrivare a -190 gradi, distruggendo il tumore e i suoi margini.

Studi precedenti e risultati promettenti

Molti studi hanno già confermato la capacità di questa tecnica di ottenere un controllo locale paragonabile alla chirurgia, offrendo un miglior risultato cosmetico, minori complicanze e costi estremamente contenuti.

Recentemente, anche negli Stati Uniti è stata avviata questa sperimentazione che ha riportato risultati significativi.

Il trial, che ha coinvolto donne con tumori di piccole dimensioni e a basso rischio, ha mostrato che la crioablazione è efficace nel controllare il tumore senza necessità di intervento chirurgico.

Il tasso di successo è stato molto promettente, con un’assenza di recidiva di malattia a cinque anni nel 96,4% dei pazienti, indicando che questa tecnica può rappresentare un’alternativa valida e meno invasiva rispetto alla chirurgia tradizionale.

L'opinione degli esperti

“La chirurgia è il trattamento standard per le donne con tumore del seno ed è il caposaldo delle cure per questa malattia.

Negli ultimi 40 anni, tuttavia, l’impegno di tutti i senologi del mondo – e in prima linea qui all’Istituto Europeo di Oncologia – si è concentrato nel ridurre al minimo l’invasività dell’atto chirurgico per ottenere il minore impatto possibile sulla vita della donna a parità di sicurezza oncologica”, spiega Paolo Veronesi, Direttore del Programma Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia e Presidente della Fondazione Veronesi. “I trattamenti percutanei come la crioablazione vanno esattamente in questa direzione e il nostro obiettivo è inserirli nella nostra offerta di cura del tumore del seno in modo che la donna che si presenta a noi con una diagnosi di cancro mammario abbia sempre la consapevolezza rassicurante di ricevere una terapia su misura qualsiasi sia lo stadio e il tipo della sua malattia. In Italia siamo pionieri nella crioablazione e siamo i primi ad eseguirla nell’ambito di uno studio clinico con risultati condivisibili e riproducibili in altri centri”.

Prospettive future

Franco Orsi, Direttore della Radiologia Interventistica Ieo, aggiunge: “Le tecniche percutanee di radiologia interventistica per il tumore del seno, sono oggi in grado di aprire nuove prospettive concrete di trattamento conservativo. A due condizioni: una diagnosi precocissima e strumenti mininvasivi capaci di cogliere il vantaggio di intercettare un tumore estremamente piccolo. Con questo primo studio italiano vogliamo dimostrare che l’uso della crioablazione percutanea nel trattamento del carcinoma mammario a basso rischio non è inferiore rispetto alla chirurgia. L’ipotesi scientifica è che essa in casi selezionati sia la giusta alternativa all’approccio chirurgico perché, a parità di efficacia, assicura alla paziente una migliore qualità di vita (ridotta morbilità, non necessità di anestesia generale, migliori risultati cosmetici) e un conseguente minor impatto psicologico così come un miglior rapporto costo/beneficio”.

Fonte:

Scoperta una nuova via di comunicazione cellulare che apre a potenziali terapie anticancro

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università Statale di Milano ha recentemente scoperto una nuova rete di comunicazione interna alla cellula. Questa scoperta potrebbe avere un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella diffusione dei tumori. I risultati di questa ricerca, finanziata da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e dall’European Research Council (ERC), sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.

Il meccanismo di comunicazione cellulare tradizionale

Le cellule possiedono recettori sulla loro superficie che agiscono come antenne, ricevendo segnali dal mondo esterno e trasferendoli all’interno della cellula.

Questi segnali sono cruciali perché forniscono istruzioni specifiche per il comportamento cellulare.

Quando un recettore si lega a una molecola-segnale esterna, si innesca una cascata di reazioni chimiche che raggiungono il nucleo della cellula, il centro di controllo, generando una risposta cellulare specifica.

Questa risposta può includere il movimento o la divisione della cellula.

La scoperta di una via di comunicazione alternativa

Contrariamente a quanto si pensava in precedenza, i ricercatori hanno scoperto una via di comunicazione alternativa all’interno della cellula.

“La nostra ricerca ha rivelato che un particolare recettore per fattori di crescita, noto come EGFR, può comunicare direttamente con alcuni organelli all’interno della cellula,” spiega Sara Sigismund, responsabile scientifica dello studio.

Gli EGFR, coinvolti in funzioni biologiche essenziali e in malattie come il cancro, quando attivati da alte concentrazioni di un fattore di crescita specifico, fanno avvicinare organelli come il reticolo endoplasmatico e i mitocondri alla superficie cellulare.

L'interazione diretta tra recettori e organelli

Questa vicinanza permette ai recettori attivati di interagire direttamente con il reticolo endoplasmatico e i mitocondri, influenzandone la funzione metabolica e aumentando la produzione di energia.

Questo ha un doppio effetto: da un lato, promuove la rimozione e la degradazione dei recettori dalla superficie cellulare, riducendo la capacità delle cellule di rispondere a segnali di proliferazione.

Dall’altro lato, stimola il movimento cellulare, un processo cruciale per la migrazione delle cellule.

Implicazioni per lo sviluppo dei tumori

Questa rete di comunicazione interna sembra essere fondamentale per una risposta adeguata delle cellule a elevate concentrazioni di fattore di crescita.

“La proliferazione cellulare e il movimento sono due funzioni chiave per lo sviluppo dei tumori,” aggiunge Sara Sigismund.

La proliferazione è responsabile della crescita tumorale, mentre il movimento può causare metastasi.

Nuove prospettive terapeutiche

Pier Paolo Di Fiore, coautore dell’articolo e Responsabile del Programma di Novel Diagnostics allo IEO, conclude: “L’identificazione di questa via di comunicazione potrebbe fornire le basi per sviluppare nuove terapie anticancro.

Interferire con questa via per bloccare le risposte cellulari indesiderate potrebbe rappresentare una strategia terapeutica innovativa e promettente.

Questa scoperta apre nuove prospettive per combattere il cancro, interferendo con i meccanismi che deviano le cellule dal loro normale comportamento.

Fonte:

Rimosso un tumore benigno di 10 cm tramite via transvaginale

Presso l’Unità operativa di Ostetricia e Ginecologia a indirizzo Oncologico del Policlinico “Paolo Giaccone”, è stato eseguito un intervento innovativo di rimozione transvaginale di un tumore benigno all’utero di oltre 10 centimetri di diametro. 

Un'alternativa alla chirurgia tradizionale

“Nel caso di un mioma di queste dimensioni, la soluzione più semplice sarebbe stata un intervento di chirurgia tradizionale, solitamente indicato per uteri con numerosi fibromi di grandi dimensioni,” spiega il prof. Laganà.

Tuttavia, grazie alla collaborazione del personale anestesiologico e infermieristico, è stato possibile eseguire l’intervento in laparoscopia e rimuovere il mioma con una tecnica di estrazione transvaginale in endobag.

Questa tecnica, eseguita in poche strutture nazionali, elimina la necessità del morcellatore, riducendo costi e rischi chirurgici.

Risultati dell’operazione

L’operazione è stata un successo e la paziente è stata dimessa dopo pochi giorni.

“La nostra missione è fornire cure mediche all’avanguardia e di alta qualità,” afferma Maria Grazia Furnari, Direttrice generale del Policlinico.

“Il team guidato dal Prof. Laganà ha dimostrato grande competenza, garantendo ottimi risultati per la paziente.

La ginecologia laparoscopica è una delle numerose innovazioni su cui puntiamo per offrire le migliori tecniche disponibili.”

Riconoscimenti e collaborazioni

Il prof. Laganà esprime gratitudine alla sua infermiera strumentista Graziella Cusimano, ai colleghi dott. Giuseppe Vitrano e dott. Vincenzo Minnella, e al Direttore di Unità Operativa prof. Renato Venezia, per il supporto nel realizzare un livello così avanzato di chirurgia laparoscopica all’interno del Sistema Sanitario Nazionale.

Ringrazia inoltre la Direttrice Generale, dott.ssa Maria Grazia Furnari, e il suo staff per l’attenzione alle attività dell’Area Materno-Infantile.

Formazione e innovazione continua

“Portare costantemente il livello chirurgico più in alto, in un’ottica di monitoraggio e miglioramento continuo, permette anche ai medici in formazione specialistica di avere un percorso di eccellenza,” conclude il prof. Laganà.

“Questo realizza una reale e proficua integrazione tra Azienda ospedaliera e Università, confermando il Policlinico come sede principale della loro formazione.”

Il robot “Cobra” rivoluziona la chirurgia oncologica

L’IRCCS di Candiolo ha recentemente segnato un importante traguardo nella chirurgia oncologica europea. Per la prima volta, è stato utilizzato il robot Da Vinci SP (Single Port), soprannominato “cobra” per la sua straordinaria flessibilità, in un intervento di mastectomia mini-invasiva seguito da ricostruzione plastica immediata. 

Il robot "cobra" e il suo debutto europeo

Lo chiamano robot “cobra” per la sua flessibilità e nei giorni scorsi è stato utilizzato, per la prima volta in Europa, presso l’IRCCS di Candiolo (Torino) per eseguire un intervento di mastectomia mini-invasiva seguito da ricostruzione plastica immediata.

Il robot è stato prodotto negli Stati Uniti e il suo vero nome è Da Vinci SP (Single Port).

L’intervento, che è avvenuto con successo, è stato effettuato lo scorso 18 giugno su una donna di 51 anni con diagnosi di tumore al seno.

La paziente era stata precedentemente sottoposta a chemioterapia ed è stata dimessa dopo 48 ore dall’operazione.

Il braccio robotico

Il primo intervento al mondo di questo tipo è stato eseguito dieci anni fa proprio dal direttore della Chirurgia Senologica dell’IRCCS di Candiolo, Antonio Toesca.

Lo strumento utilizzato allora, racconta Toesca a Salute, non aveva la stessa flessibilità di movimento ed era definito multiport, poiché dotato di quattro braccia: “Da Vinci SP ne possiede uno solo, da cui emergono però 3 strumenti, più la telecamera in grado di muoversi in maniera flessibile, appunto come un ‘cobra’, senza danneggiare i tessuti sani e riducendo al minimo l’impatto della chirurgia demolitiva, con vantaggi sia estetici che funzionali”.

Inoltre, prosegue l’esperto, la flessibilità di movimento della telecamera consente di visualizzare anche strutture che potrebbero altrimenti rimanere nascoste.

Come si è svolto l'intervento

“L’intervento con il nuovo robot è stato eseguito attraverso una singola incisione di 2,5 centimetri sotto l’ascella“, prosegue Toesca: “L’estrema precisione chirurgica ha permesso di conservare la sensibilità del seno, preservare il complesso areola-capezzolo ed il lembo cutaneo e sottocutaneo che contiene i vasi sanguigni superficiali, nonché ridurre al minimo la cicatrice chirurgica, situata oltretutto lontano dalla mammella”.

Come anticipato, si tratta quindi di un intervento mini-invasivo: non in tutte le pazienti può essere eseguito, ma quando possibile dovrebbe migliorare sensibilmente l’impatto estetico e la qualità di vita post-operatoria.

La ricostruzione immediata

Inoltre, racconta ancora Toesca a Salute, questa tecnologia aumenta la probabilità di riuscita dell’intervento di ricostruzione plastica eseguito immediatamente dopo la rimozione del tessuto tumorale: “Gli studi hanno dimostrato che miniaturizzando l’incisione e allontanandola dalla mammella la probabilità di poter mantenere l’impianto a seguito dell’operazione è nettamente più alta”.

Dal punto di vista della durata dell’intervento, conclude il chirurgo, mentre in passato l’utilizzo dei robot allungava nettamente i tempi, oggi non c’è più una differenza significativa fra l’operazione eseguita manualmente e quella eseguita con l’ausilio della nuova tecnologia: “Parliamo di un intervento – conclude Toesca – che durerebbe circa tre ore e mezzo e che con l’utilizzo del robot può durare magari quattro ore, una differenza che non è significativa”.

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Ripristinata la mobilità del braccio con una clavicola 3D

In un evento pionieristico per la medicina italiana, un uomo ha recuperato la mobilità del braccio grazie a un intervento che ha coinvolto l’uso di una clavicola personalizzata in 3D e un trapianto di tendine.

Un'intervento pionieristico in Italia

Per la prima volta in Italia, un uomo ha ripreso a muovere il braccio grazie ad una clavicola personalizzata in 3D e ad un trapianto di tendine.

È la seconda operazione al mondo di questo genere realizzata con successo.

Il paziente e la sua storia

L’intervento è stato realizzato dai sanitari dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino su un uomo di 52 anni, un ex pugile amatoriale.

Da anni, il cinquantaduenne soffriva di una lussazione cronica della clavicola destra, causata da un trauma sportivo durante un allenamento.

L’uomo era abituato a frequentare le palestre e a vivere con energia e vitalità, ma si è trovato improvvisamente costretto a rinunciare alla sua passione ed alla sua routine quotidiana.

Un dolore persistente e apparentemente senza soluzione

Nonostante le numerose sedute di fisioterapia e i numerosi esami diagnostici, la sua condizione sembrava senza via d’uscita.

Era bloccato in una morsa di dolore e di immobilità che comprometteva anche la normale funzionalità respiratoria.

La svolta è arrivata dopo una visita presso l’ospedale Molinette di Torino, dove i sanitari hanno ritenuto di sottoporre l’uomo a un intervento innovativo e rivoluzionario.

Una tecnica innovativa e rivoluzionaria

L’équipe di Chirurgia toracica, diretta dal professor Enrico Ruffini, ha effettuato un intervento straordinario utilizzando la stampa 3D in titanio.

I medici hanno creato un modello identico all’articolazione e lo hanno utilizzato come guida per forare con precisione sia la clavicola sia lo sterno del paziente, garantendo il perfetto riallineamento delle ossa.

Collaborazione con l'azienda Osteobionix

Osteobionix è l’azienda che ha sviluppato il dispositivo in titanio utilizzato per l’operazione.

Il tutto è stato eseguito con sicurezza, precisione ed accuratezza.

L’intervento, durato circa 5 ore, ha inoltre incluso l’uso di un tendine donato dalla Banca dei Tessuti Muscolo Scheletrici dell’ospedale CTO, per garantire la stabilità dell’articolazione e sostenere il riallineamento delle strutture articolari.

Ruolo cruciale dei chirurghi toracici

I chirurghi toracici sono stati fondamentali nell’operazione perché la porzione articolare interessata era quella che si collega con lo sterno, richiedendo una competenza specifica per intervenire sulla parete toracica.

Risultati eccezionali nel periodo post-operatorio

Il periodo post-operatorio ha fatto raggiungere risultati eccezionali.

Il paziente ha riacquistato la completa mobilità del braccio, permettendogli di tornare alle normali attività quotidiane senza i dolori e le limitazioni del periodo precedente l’intervento.

Un team di professionisti altamente qualificati

L’operazione eseguita all’ospedale Molinette di Torino ha cambiato per sempre la vita del paziente e ha aperto nuove prospettive per il trattamento di patologie simili.

Questo successo è il risultato dell’efficace lavoro di un team di professionisti altamente qualificati, tra cui i chirurghi toraco-polmonari Francesco Guerrera, Paolo Lausi, Stefano Ganio e Paraskevas Lyberis, l’anestesista Giulio Luca Rosboch ed il personale infermieristico dedicato.

Mezzo milione di malati in fuga verso il Nord per cure migliori

La riforma dell’autonomia differenziata potrebbe aggravare una tendenza già preoccupante. Attualmente, la maggior parte dei malati si sposta per ricevere cure di media complessità. Le regioni più colpite da questo fenomeno sono Calabria, Campania, Sicilia e Puglia.

Viaggi della speranza

Partono con le loro preoccupazioni e il loro desiderio di guarire, spesso insieme a familiari o amici.

Si spostano per curarsi, in molti casi perché cercano centri di eccellenza oppure perché non si fidano dell’assistenza nella loro Regione.

Circa mezzo milione di italiani ogni anno intraprendono quelli che un tempo si chiamavano, con una brutta espressione, viaggi della speranza.

Di solito, il flusso di malati è dal Sud verso il Nord, anche se va ricordato che nel dato generale ci sono anche coloro che si muovono nella Regione confinante alla propria semplicemente perché lì si trovano le strutture sanitarie più vicine a dove abitano.

I timori per l’autonomia differenziata

Certi viaggi si svolgono perché, a ragione o a torto, si ritiene che in certe Regioni le cure siano migliori.

Proprio per questo, il timore di medici, sindacati, e ricercatori è che con la riforma dell’autonomia differenziata, che farà crescere di più le realtà locali già forti e metterà in difficoltà le più deboli, la cosiddetta mobilità sanitaria diventi ancora più frequente.

«Gli spostamenti in sé non sono legati alla ricchezza del bilancio delle Regioni ma più che altro alla efficienza di presa in carico del paziente», dice Francesco Perrone, il presidente dell’Associazione di oncologia medica Aiom, che lavora al Pascale di Napoli ed è stato uno dei 14 firmatari (tra i quali il Nobel Giorgio Parisi) di un appello per il sistema sanitario che ha avuto enorme risonanza.

«Chi è malato non può umanamente reggere liste di attesa troppo lunghe, quindi ha bisogno che la Regione dove vive sia organizzata. Sennò va via. In questo periodo il Meridione sta migliorando, i segnali ci sono».

La riforma potrebbe bloccare la crescita. «I timori riguardano la concorrenza tra vari servizi pubblici per il personale. Se le Regioni ricche pagano un giovane medico il triplo, le povere avranno enormi problemi a reclutare i professionisti, compresi gli infermieri. Questo ricadrebbe pesantemente su tutto il sistema e direttamente sulla salute dei pazienti». Che tra l’altro si sposteranno di più, verso Nord.

Non è preoccupato il ministro alla Salute Orazio Schillaci, che ha spiegato come «l’autonomia differenziata già esiste in sanità. Le Regioni hanno grande autonomia, in questo settore cambierà poco. Ma può essere uno stimolo per migliorare per chi, magari, non è stato particolarmente performante negli ultimi anni».

Dalla Calabria il 50% dei malati

I dati di Agenas, l’Agenzia nazionale sanitaria delle Regioni, sui flussi 2022 smentiscono alcuni luoghi comuni.

La maggior parte di chi si sposta (328 mila malati) lo fa infatti per ricevere cure di media complessità.

Quelle di alta complessità riguardano 94 mila persone.

Poi ci sono 72 mila cittadini che si muovono per prestazioni considerate a rischio inappropriatezza, cioè che potrebbero essere inutili.

In oncologia più di un paziente su dieci, cioè 28 mila su 240 mila, cambia Regione per curarsi.

La realtà più attrattiva, come noto, è la Lombardia, che assiste quasi 8.400 malati di cancro in arrivo da fuori, ai quali dedica il 18% della sua attività in questo campo. Seguono il Veneto con 4.200 (16%), il Lazio con 4 mila (15%), la Toscana con 2.600 (13%) e l’Emilia-Romagna con 2.100 (11%).

Le fughe più significative si hanno da Campania (3.380 e cioè il 18% dei malati), Calabria (3.200 e addirittura il 50% dei malati), Sicilia (2.400 e 16%) e Puglia (2.300 e 14%), che però esercita anche attrazione in entrata e così ha il saldo tra chi esce e chi arriva meno pesante di tutto il Sud.

Perrone a suo tempo si era espresso contro la riforma. «Ora però ci vuole buonsenso, visto che il Parlamento la ha approvata. Vediamo che ruolo avrà il governo, e nel nostro caso il ministero alla Salute, nel mettere in campo contrappesi e misure di garanzia dell’equità.

Qualche segnale c’è.

Noi, come oncologi, siamo pronti a collaborare con tutti».

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